di maurizio patriciello |

La fascia di territorio a cavallo delle province di Napoli e Caserta, da qualche decennio è passata sotto il nome di “ terra dei fuochi”.
Il motivo? È presto detto. La Campania è diventata lo sversatoio di tantissime tonnellate di rifiuti industriali altamente tossici e nocivi per la salute, proveniente in gran parte dal Nord e Centro Italia. Tutto ciò è stato possibile grazie a un patto scellerato sottoscritto tra la camorra – in particolare quella creata, incrementata e difesa dal “ clan dei casalesi ” -, faccendieri smaliziati e industriali disonesti che per amore di un facile guadagno non si sono fatti scrupolo – come scrivono i vescovi campani – di avvelenare la bella, unica e fertilissima “Campania felix”. A dire il vero, a me questa dicitura non è mai piaciuta, perché induce a farsi una falsa idea di ciò che realmente accade. Il fuoco, infatti, nelle nostre terre, noi non lo abbiamo mai visto. Intendo dire il fuoco rosso, caldo, bello, schioppiettante. Al contrario, i nostri occhi, da anni, vengono infiammati e rattristati da enormi roghi che sprigionano altissime colonne di fumo nero come il carbone e puzzolente come l’ inferno. Fumi, dunque, non fuochi. Fumi alla diossina, pericolosissimi per la salute. Roghi che lasciano poi sui terreni scorie che nessuno provvede a ritirare e che, a loro volta, si disperdono nell’aria.

Ma che cosa brucia sui roghi? Tutto ciò che è infiammabile e che deve scomparire per non procurare all’imprenditore disonesto problemi con la giustizia: pneumatici, ritagli di pellami e di tessuti, collanti, coloranti, diluenti, solventi, vernici e tante altre cose. L’ industriale che produce in regime di evasione fiscale, ha necessità di eliminare, nel più breve tempo possibile, gli scarti della propria lavorazione.
Il discorso è elementare. Se ogni per ogni chilogrammo di scarpe e borse, viene prodotto almeno mezzo chilogrammo di scarti, e se quelle scarpe sono state fabbricate in nero, è del tutto logico che gli scarti debbono essere smaltiti in nero. Ed ecco nascere una filiera invisibile che contribuisce a rendere insopportabile la vita a centinaia di migliaia di cittadini italiani.
Gli scarti, infatti, vengono affidati a disoccupati, immigrati, rom, che per pochi spiccioli sono disposti a caricarli sui furgoncini, a trasportarli in aperta campagna o sotto i cavalcavia, dar loro fuoco e allontanarsi alla svelta. Solo con la legge sulla “ terra dei fuochi” del febbraio 2014, nata dopo le numerosissime ed estenuanti battaglie della popolazione locale, il governo provvide a tentare di porre rimedio. Rimedio tanto inefficace da far dire ai numerosissimi nostri volontari che la legge è inutile. Infatti, mentre colpisce il malcapitato, ultima ruota di un carro di delinquenti, nulla fa per arrivare a individuare il mandante. E il mandante non può che essere un “industriale”. Facemmo presente all’ allora ministro dell’ Ambiente, Andrea Orlando, questa sconcezza, ma non ci fu niente da fare: la legge passò così. Poca cosa, dunque, ma pur sempre un obiettivo raggiunto. Se una legge c’è, vuol dire che il problema esiste. E questa è la migliore arma contro i negazionisti che non mancano mai, soprattutto quando hanno da coprire i loro malaffari o gli amici di cordata. Legge insufficiente anche perché prende in considerazione solo di una modalità dello smaltimento illecito dei rifiuti industriali: l’ incenerimento.
E per gli sversamenti? Niente. l’ inquinatore, pur colto in flagrante, va soggetto solo al pagamento di una multa. Paradossale. Penoso.
Tocchiamo a questo punto il cuore del problema: il reato ambientale in Italia, fino ad oggi, è di tipo contravvenzionale. Per questi loschi figuri – incredibile ma vero – fino ad oggi non è prevista la galera. Va da se che la prima cosa che l’ Italia deve fare è dotarsi di una legge che inasprisca severamente le pene per questi nemici dell’ umanità. A dire il vero un disegno di legge a riguardo, da mesi sta facendo il giro tra Camera e Senato. Speriamo che i nostri parlamentari comprendano l’ urgenza e si diano da fare per poterla approvare quanto prima. Tutto ciò che non può bruciare, dunque, viene occultato. Dove? Nelle discariche per i rifiuti urbani, nelle cave, nei terreni agricoli. Nelle fogne. Nei fiumi. Nei “ Regi Lagni”. In mare. La maggior parte delle discariche nate per raccogliere la “monnezza della nonna”, come amo definire i rifiuti urbani, sono stracolme di rifiuti delle industrie. Naturalmente non essendo nate per questo motivo fanno problema. Così le campagne, le cave, eccetera. Il percolato infatti, lentamente ma inesorabilmente, scende, scende verso la falda con le conseguenze che tutti possono facilmente immaginare.
È un problema solo campano? Consiglio chiunque a rinunciare a questa pericolosa illusione. Per farlo mi servo delle parole del presidente della nostra amata Repubblica: « Quanto accaduto in Campania, nella cosiddetta “Terra dei fuochi” è emblema del degrado italiano, la rappresentazione di una drammatica situazione di uno sfruttamento cinico e senza futuro». Prima di lui, a Caivano, il paese del Napoletano in cui sono parroco, l’ attuale ministro dell’ Ambiente, Gian Luca Galletti, disse che “ la terra dei fuochi è un problema nazionale e deve essere risolto a livello nazionale”.
Il suo predecessore durante il governo Letta, Andrea Orlando, sempre a Caivano, chiese pubblicamente perdono agli abitanti dei paesi a cavallo delle provincie di Napoli e Caserta per lo scempio che erano costretti a subire. Questi pronunciamenti sono pietre miliari. Ma, procedendo a ritroso, non possiamo non ricordare Renato Balduzzi, ministro alla Salute durante il governo Monti. Volle rendersi conto personalmente di ciò che accadeva in questa fascia di terra martoriata e bella. Arrivò in privato, in una tarda mattinata, senza scorta. Espresse il desiderio di essere accompagnato sotto i cavalcavia affumicati, nelle campagne stuprate. Volle vedere con i propri occhi che cosa contenessero quegli enormi sacchi neri gettati a centinaia lungo i sentieri. Rimase basito, incredulo nel costatare che non pattume delle case, bensì pericolosissimi scarti industriali ucivano da quei contenitori. Al momento del commiato gli dissi: « Ministro, la ringrazio. È stato gentile a venire. Adesso, però, ci aiuti, la prego, a uscire da questo incubo …». Mi guardò con gli occhi umidi, poi abbracciandomi, rispose: « Sono io che debbo ringraziare lei e tutti coloro che stanno lottando per questa terra. Siete degli eroi …».
Anche Nunzia De Girolamo, ex ministro alle Politiche agricole, venne di persona per prendere visione dei bidoni arrugginiti che, dopo anni, venivano alla luce sotto le ruspe della Polizia forestale … È l’ industriale disonesto, che quasi sempre la fa in barba alla legge e alla società, che bisogna colpire. Ma, occorre dirlo, da questo orecchio sembra proprio che nessuno ci senta. Ho detto “ industriale disonesto” nemico nostro e di ogni industriale onesto.
C’è poi da fare i conti con la corruzione, piaga mille volte peggiore della peggiore camorra. Solo qualche mese fa venne revocato l’ incarico per la bonifica della “Resit” di Giugliano, obbrobrio, che tutti ormai chiamano “ la bomba”. Lo stop arrivò perché la ditta appaltatrice risultò essere in odor di mafia e collegata in qualche modo con quelli di “ mafia capitale”. Pensate chi si preparava a “ bonificare” la Resit. Intanto il tempo passa. E la situazione si aggrava.
Ha ragione Mattarella quando parla di “degrado italiano”. Occorre bonificare. È necessario. È urgente. Ma bisogna cominciare dalle coscienze. Occorre essere severissimi con chi deturpa la cosa pubblica per egoistici e criminali interessi privati. L’ Italia intanto, è costretta a pagare all’ Europa una multa di 80 milioni ogni anno per lo scorretto smaltimento in discariche abusive dei rifiuti. Oltre il danno non poteva mancare la beffa. La multa la pagano gli italiani, gli affari sporchi di sangue innocente li fanno i privati.
Possiamo uscire da questa sciagura? Dobbiamo uscirne. Al più presto. A tutti i costi. La mia è una terra benedetta da Dio. Occorre quanto prima fare una mappatura certa dei siti inquinati, così da metterli in condizione di non nuocere. E dare un marchio di qualità al resto della produzione che resta eccellente. Occorre individuare gli irresponsabili criminale e punirli severamente. E cominciare ad avere cura della terra che ci fu data in dono. Intanto l’ inquinamento ambientale continua a mietere vittime. Oggi Afragola piange l’ultima mamma morta di cancro. Aveva solo 28 anni. E il diritto di vivere felice con i suoi figlioli.

About Author