Il 7 novembre del 1980 Mimmo Beneventano, l’uomo che si oppose alla camorra di Cutolo nella stessa città dove Cutolo era nato, adulato ed imperava, veniva ucciso barbaramente. Quest’anno ricorre il 44esimo anniversario da quel giorno ma il connubio tra Petina in Basilicata, suo paese natale, ed Ottaviano, suo paese di lavoro, adozione ed impegno politico è stato da sempre ispirato al valore della memoria. Affinché nessuno possa dimenticare che cosa volle dire, per Mimmo Beneventano, amare la legalità, la buona politica, l’ambiente e ribellarsi alla prepotenza della camorra, al crimine, alla violenza, alla discarica abusiva arrivando fino al sacrificio estremo.
Anna Fornaro è una dirigente scolastica vecchio stampo. Conosce il valore dei gesti, la necessità di non dimenticare nulla, la consapevolezza che una società più giusta passa per le mani delle nuove generazioni, degli alunni che nella sua scuola, dedicata a Mimmo Beneventano apprendono il dono e la pratica della legalità, zero bulli e attenzione costante al territorio. Nell’anno 44esimo dalla morte per assassinio di Mimmo Beneventano l’impegno non è venuto mai meno. Anche questa volta sarà lo stesso intenso ricordo il 7 novembre con voci e testimonianze diverse. Sono semi di legalità perché “li avete uccisi ma non vi siete accorti che erano semi”. E quei semi hanno fecondato terreni fertili che si oppongono ad ogni camorra. Giovedì 7 novembre 2024 il programma è fitto. Parole e temi già passati al vaglio e all’attenzione delle classi della scuola guidata da Anna Fornaro, donna di scuola tenace e decisa. «L’Istituto Comprensivo Mimmo Beneventano – ci scrive Anna Fornaro – nasce nell’anno 2012, a seguito della riorganizzazione della rete scolastica regionale, per volontà dell’allora, ora compianta, Dirigente Scolastica dott.ssa Silvana Avino insieme all’amministrazione comunale. Giungo all’ Istituto Comprensivo Mimmo Beneventano al mio primo incarico di DS nell’anno scolastico 2015/2016 e ci resto. È subito amore. A partire dall’eponimo dottor Domenico Beneventano con la sua storia, con la passione per le umane vicende che lo conducono dall’impegno professionale di medico di tutti ( anche senza cachet), all’amore per le arti e la cultura che rendono liberi e vitali, all’impegno politico in nome di una giustizia sociale troppo avanguardista per essere proferita, compresa, diffusa, anche solo sussurrata. Domenico immerso nel sogno ingenuo e di una libertà personale dell’anima e di un benessere sociale diffuso e condiviso, non si sottrae a un destino tragico, anzi ne è fin troppo consapevole. Consapevole, temerario e appassionato come solo i giovani sanno essere. Lui “lotta e si ribella” spera, anzi sa, che il suo “canto del cigno” arriverà lontano, nel tempo e nello spazio. La voce del giusto andrà oltre le renitenze colpevoli di un popolo laborioso e determinato, all’ombra e al sole, ma che sa rendersi impermeabile alla pioggia del giusto. La voce va oltre una “aristocrazia borghese”, ripiegata e inerte di fronte alla follia violenta di un’epoca devastata., straniera a se stessa. Una waste land deserta e abbandonata dallo Stato, resa schiava da una nudità valoriale persistente e sembrerebbe senza speranza dove per la legge del contrappasso risuona più forte la voce del giovane politico, lo “straniero” venuto da un’altra terra di lavoro a diventare uomo. La giornata del 7 novembre, che ricorda ogni anno il lontano 1980, in cui viene ucciso il giovane Domenico Beneventano, davanti agli occhi di sua madre, ricorda ogni anno che c’è e ci sarà sempre un’altra possibilità, un’altra scelta anche per chi vive nel deserto, anche per chi crede di non avere voce . Non ho conosciuto il dott Beneventano ma credo di conoscerlo e riconoscerlo ogni giorno negli occhi dei ragazzi a cui ogni giorno si insegna ad essere se stessi fino in fondo. Ad essere semi di legalità che non cedono di fronte alla brutalità di chi urla per impotenza e vuole zittire ma voce che sa dire, seminare e germogliare e crescere».
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L’altra sponda d’impegno civile e di memoria ad Ottaviano si chiama Pasquale Raia che non ha mollato un solo istante in questi anni tra Legambiente e Libera, nella terra dei suoi natali, per testimoniare il valore ed i gesti di Mimmo Beneventano che amò l’ambiente più di ogni cosa sul versante del Somma dove c’era la discarica dei La Marca, alleati e protetti da Cutolo contro cui Mimmo Beneventano non indietreggiò un solo millimetro. Assieme, Anna Fornaro e Pasquale Raia si ritroveranno, con altri nomi noti nella lotta alle illegalità e con l’amministrazione comunale, giovedì 7 novembre dalle 16.30 presso la Palestra dell’Istituto Comprensivo Mimmo Beneventano in via Mimmo Beneventano ad Ottaviano, come da locandina che segue, per parlare di Mimmo Beneventano, di semi della legalità e di futuro. Interverranno in ordine: Anna Fornaro; il sindaco di Ottaviano Biagio Simonetti; il maresciallo della Stazione dei Carabinieri di Ottaviano; per il Parco Nazionale del Vesuvio Claudia Ciaravolo; il Presidente di Legambiente Avellino Antonio Di Gisi; il Presidente della Fondazione Mimmo Beneventano Rosalba Beneventano; l’Assessore all’Istruzione del Comune di Ottaviano Virginia Nappo; il nostro Direttore, giornalista e scrittore Francesco De Rosa; il Deputato europeo Sandro Ruotolo. In collegamento ci saranno il Presidente nazionale di Legambiente Stefano Ciafani e il Presidente nazionale di Libera Don Luigi Ciotti.
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La nascita di Mimmo Beneventano
Nato l’11 luglio del 1948 a Petina, suo padre era un forestale e quindi si trasferiva spesso infatti, Mimmo crebbe tra Petina, Teggiano e la Basilicata.
Mimmo Beneventano vittima della camorra, i fatti
La sua storia si intreccia con la camorra, di cui è stato vittima 44 anni fa. Sempre legato al Vallo di Diano e al suo comprensorio, Mimmo dopo la laurea in Medicina e la specializzazione in Chirurgia iniziò a lavorare come chirurgo presso l’ospedale San Gennaro di Napoli; nel contempo era anche medico di base ad Ottaviano. Qui svolgeva anche l’attività di consigliere comunale, ma il suo impegno politico lo condusse presto a confrontarsi con i progetti di cementificazione speculativa e traffico illegale di rifiuti organizzati dalla Camorra. Mimmo Beneventano, infatti, si oppose apertamente alla Nuova Camorra Organizzata di Raffaele Cutolo, cercando di impedirne gli affari con la politica locale e le speculazioni che avrebbero interessato il Parco del Vesuvio.
La morte
All’alba del 7 novembre 1980, mentre saliva in auto per recarsi a lavoro, moriva per mano dei sicari di Cutolo. Per Mimmo Beneventano però, non ci sarebbe mai stata giustizia. Infatti Raffaele Cutolo fu prosciolto dalle accuse relative ad un suo coinvolgimento nel delitto. Non morì invano, infatti, la sua morte provocò una mobilitazione sociale senza precedenti ad Ottaviano. Nacque l’associazione degli studenti contro la camorra e poco dopo venne organizzata la prima marcia anti camorra.
L’impegno della sorella Rosalba con la Fondazione a lui dedicata
In sua memoria costituita la Fondazione Mimmo Beneventano, presieduta dalla sorella Rosalba. La fondazione nasce in un bene confiscato alla famiglia Prisco e in gestione all’Ente Parco del Vesuvio. La Fondazione è impegnata con gli istituti scolastici della regione, attraverso il progetti educativi della legalità. «Stavo dormendo – ricostruirà dopo Rosalba Beneventano – sono stata svegliata dalle urla di mamma che dalla finestra aveva visto tutto. Erano le 7.10. Mi affacciai e scorsi Mimmo a terra. Ci precipitammo in strada, era ancora vivo e fece un gesto come a slacciarsi la cravatta. Lo caricammo in auto e lo portammo al Loreto Mare. Ero convinta che ce l’avrebbe fatta. Per me lui era un gigante, un ciclone, il fratello maggiore indistruttibile». Rosalba all’epoca aveva 22 anni ma a raccontare gli ultimi istanti di vita di suo fratello Mimmo ci mette un istante. Quel giorno, il 7 novembre 1980, Mimmo si accingeva a salire in auto per andare al lavoro. Dieci anni più grande di lei dividendo la sua vita tra la professione di medico all’ospedale San Gennaro di Napoli, l’impegno in consiglio comunale dove era stato eletto due volte con il Pci e la passione per la natura. Quella dei boschi e dei fiumi che ritrovava quando tornava a Sasso di Castalda, il paese di origine del padre, che era un forestale, e quella del Vesuvio che difendeva contro i progetti speculativi di un ceto imprenditoriale legato a doppio filo alla camorra di Cutolo e con agganci nella macchina amministrativa. «La sera prima che fosse ammazzato — ha riannodato ancora Rosalba Beneventano – Mimmo aveva cenato con noi a casa, dopo avere ricevuto i pazienti. Passò a salutarlo l’avvocato Boccia, un consigliere comunale del partito socialista. Mio fratello ci tenne a presentarcelo e aggiunse: ad Ottaviano siamo rimasti solo noi». In effetti quelli erano anni terribili nel Comune vesuviano. «In consiglio comunale — ha ricordato Rosalba Beneventano — c’erano estese propaggini della camorra. Ho saputo poi, dopo che mio fratello era stato assassinato, che a volte, quando lui prendeva la parola per contrastare alcuni progetti di cementificazione al vaglio dell’amministrazione, persone del pubblico si sbottonavano la giacca per mostrare che portavano la pistola. Questo era il clima. Una dittatura criminale, nonostante ci fossero anche alcune piccole fabbriche occupate, una sezione di Lotta Continua ed una del Pci. Mimmo era stato già minacciato, peraltro. Una volta gli avevano stracciato la camicia con un coltello. In altre occasioni noi della famiglia eravamo stati avvicinati e ci era stato consigliato di dirgli di stare attento». Fu lasciato solo? «Probabilmente non fu capito fino in fondo il senso della sua battaglia. Non credo sia stato sostenuto come sarebbe stato necessario. Insomma, sono trascorsi tanti anni da quel tragico mattino di novembre e gli assassini di mio fratello Mimmo che contrastava la cementificazione del Vesuvio non hanno un nome e probabilmente non lo avranno mai». «Ci fu un processo di primo grado – ricorda ancora la sorella – che si concluse con la condanna di sei persone. I giudici individuarono il mandante dell’omicidio in Raffaele Cutolo. In appello, però, tutte le condanne sono state cancellate anche perché venne meno la collaborazione di un pentito. I sei presunti assassini sono stati prosciolti con la formula della insufficienza di prove. Ad oggi, dal punto di vista giudiziario, quello di mio fratello è un delitto insoluto». Di Mimmo Beneventano, del suo amore per la natura, delle sue poesie e del suo impegno di medico restano i ricordi di chi lo ha conosciuto, una strada ed una scuola che gli sono state intitolate ad Ottaviano, un circolo di Legambiente che porta il suo nome, le celebrazioni a Sasso di Castalda. «Anche stamane — concludeva Rosalba — come ogni 7 novembre mi sono svegliata alle sette».
Il coraggio di Mimmo Beneventano
Isaia Sales, attento studioso dei fenomeni criminali e di camorra in Campania non farà mancare la sua voce sul valore e la vita di Mimmo Beneventano con una riflessione che ritorna ogni anno profonda ed arguta dal febbraio del 2021 quando, data alle stampe uno di quei giorni, trovò anche in noi profonda condivisione. «Il 7 novembre del 1980 a Ottaviano, – scrive Isaia Sales – mentre usciva di casa per recarsi al lavoro in un ospedale di Napoli, veniva assassinato Mimmo Beneventano, medico e consigliere comunale del Pci. La mamma, che lo salutava ogni mattina dal balcone, assistette all’uccisione. La sorella Rosalba lo accompagnò al pronto soccorso con una corsa disperata, ma non ci fu niente da fare. “vovevo dargli un ultimo bacio, e non ho avuto tempo”, racconterà poi. Aveva 32 anni. Fu il primo delitto di camorra in Campania nei confronti di un consigliere comunale comunista. Due anni prima, sempre ad Ottaviano, era stato ammazzato l’avvocato socialista Pasquale Cappuccio, che assieme a Mimmo svolgeva una dura opposizione in consiglio comunale. E pochi mesi dopo, fu gravemente ferito Raffaele La Pietra, segretario della sezione del Pci. Un proiettile gli entrò dalla nuca. Qualche mese dopo essersi ristabilito, La Pietra si trasferì al Nord con la sua famiglia perché si temeva che potessero provarci di nuovo ad ammazzarlo. Appresi la notizia della morte di Mimmo mentre ero in riunione nella stanza di Antonio Bassolino, allora segretario regionale del Pci. Ce la comunicò Nicola Imbriaco, il nostro capogruppo in Regione. Ottaviano somigliava al mio paese. Quello che era successo a Mimmo poteva succedere a chiunque di noi. A fine agosto del 1978, a Pagani, era stato ammazzato Antonio Esposito Ferraioli, iscritto al Pci e sindacalista della Fatme perché non voleva far mangiare carne avariata alla mensa della fabbrica di cui era cuoco. E pochi anni dopo toccò ad Antonio Cangiano vicesindaco comunista di Casapesenna, raggiunto da proiettili che gli tolsero l’uso delle gambe. Non ho difficoltà a dire che avemmo paura, ma continuammo a fare ciò che ritenevamo giusto fare in quegli anni difficilissimi per chi era all’opposizione di quel sistema politico- clientelare- camorristico che cominciava a dominare in tanti nostri piccoli e medi comuni. Essere comunista voleva dire combattere la camorra. Noi la consideravamo come una degenerazione violenta e prepotente del sistema clientelare, una propaggine armata di alcuni esponenti dei partiti che combattevamo. I due mondi erano inconciliabili e perciò divenimmo bersagli di attentati, di continue minacce e ridotti all’isolamento.
Chiunque oggi mette in discussione il ruolo che ha avuto il Pci nella storia d’Italia, non dimentichi mai che chi diceva di essere dalla parte della libertà faceva affari con i camorristi; e chi invece era accusato di essere un pericolo per le libertà democratiche, cioè il Pci, pagava con la vita dei suoi esponenti istituzionali il diritto di parlare e di lottare. Quando si aprì la stagione dei sindaci con la nuova legge che ne consentiva l’elezione diretta, il cambiamento che si produsse in tante realtà locali fu dovuto anche alle lotte di Mimmo, di La Pietra, di Esposito Ferraioli, di Cangiano e di tanti coraggiosi militanti del Pci. Non lo dimentichiamo mai.
Mimmo Beneventano era un leader intransigente, e insieme a Pasquale Cappuccio contrastava la dittatura politico- criminale a Ottaviano del duo Cutolo-La Marca. Esponente del Psdi, La Marca era un imprenditore nel settore dei rifiuti, già proprietario di alcune discariche ( compresa – in società con altri – la cava Sari di Terzigno e poi quella di Pianura), in affari con il fratello di Cutolo e con il boss Mario Fabbrocino. Da sindaco (con i voti della Dc) e da assessore alla Provincia si era fatto strenuo sostenitore di un campo da golf, della edificazione di numerose villette e di una ” tangenziale” sul Vesuvio. Chiunque si opponeva a quella follia era oggetto di pressioni, avvertimenti e poi di rappresaglie. Nell’ultimo consiglio comunale, La Marca gli aveva messo la mano sulla spalla. “Compagno, tutto bene?” , gli aveva chiesto ironico. Mimmo si era girato e gelido gli aveva detto: “Toglimi questa mano. Mi hai già sporcato troppo”. Su quella coraggiosa “resistenza civile”, che ci fu a Ottaviano da parte di una generazione di sinistra, calò il silenzio, interrotto solo dal bellissimo libro di Bruno Arpaia “Il passato davanti a noi”, dal ricordo che ne fece Raffaele Sardo in “Al di là della notte”. Qualche anno fa è stato ristampato il suo libro di poesie “Rabbia e destino”, che lo avvicina per tanti aspetti a Rocco Scotellaro, il sindaco-poeta di Tricarico.
Mimmo, infatti, era originario di Sasso di Castalda in Lucania ed era arrivato ad Ottaviano a 16 anni. Si era iscritto a medicina all’Università di Napoli e poi aveva seguito la sua passione politica diventando, da cattolico, comunista. Era stato eletto in consiglio comunale nel 1975 e riconfermato nel 1980. Se eri contro le ingiustizie e ti indignavi per come venivano ridotti i nostri paesi, come facevi a non essere comunista? Egli seguiva la strada della generazione post- sessantottina, attratta dalla politica per portarvi quel bisogno di liberazione che aveva attraversato la vita di ognuno di noi. Quella generazione di oppositori di sinistra era pienamente consapevole della situazione? Che cioè di fronte non avevano semplicemente uomini politici con idee diverse, ma anche il primo cementarsi di interessi malavitosi attorno alla politica e alle sue decisioni? Non del tutto, e non tutti allo stesso modo. Mimmo aveva parlato nel suo ultimo comizio del tentativo di speculazione sul Vesuvio, ma nessuno pensava che si potesse morire per un comizio o per un intervento in consiglio comunale. Si andò al fronte disarmati, tenaci, appassionati e ingenui. Non ci avevano messi sull’avviso la magistratura, inattiva allora contro i camorristi, né i carabinieri che ci trattavano da pericolosi sovversivi solo perché iscritti al Pci. Che pena vedere oggi che nelle liste degli ex appartenenti al Pci trova spazio gente che all’epoca di Mimmo Beneventano non avrebbe potuto neanche mettere piede in una sezione comunista. Che pena assistere all’elogio pubblico della clientela, di quella clientela che ha poi permesso ai camorristi di impossessarsi di diversi comuni. Che pena vedere che nel Pd nessuno protesta (nessuno!) se un condannato per corruzione viene nominato ai vertici della politica regionale.
Mimmo Beneventano ha fatto onore agli ideali di una generazione, che erano gli ideali del Pci. E Ottaviano non è solo la città di Cutolo ma innanzitutto di tutti coloro che lo hanno combattuto.
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