Ci son voluti 14 anni per arrivare agli arresti ma la tesi sul barbaro assassinio di Angelo Vassallo, il sindaco “pescatore” che amava la sua Pollica, nel Cilento, e voleva tutelarla dalla droga della camorra ha trovato, per la Procura di Salerno, i riscontri che cercava. L’ipotesi più inquietante che si fece strada già poche settimane dopo quel 5 settembre del 2010, il giorno in cui fu ucciso il sindaco di Pollica mentre tornava a casa nella frazione marina di Acciaroli, è diventata per la Procura della Repubblica di Salerno e per il suo capo Giuseppe Borrelli una certezza: a decidere la morte del sindaco fu un gruppo del quale facevano parte almeno due carabinieri. Uno di loro, Fabio Cagnazzo, era persino un colonnello ritenuto, fino a poco prima, un ufficiale esemplare dei carabinieri che ha guidato anche il gruppo dell’Arma che è a Castello di Cisterna arrestato assieme ad altri di cui vi scriviamo qui…
di francesco de rosa
Sono quelle notizie che non vorremmo mai dare. Di quelle che fanno male alle istituzioni, a chi nell’Arma dei carabinieri si adopera ogni giorno rischiando la vita. Eppure dello scenario inquietante nel quale maturò quel vile assassinio avevamo saputo già in molti appena pochi giorni dopo. Si disse subito che dietro la morte del sindaco “pescatore” Angelo Vassallo, amato da tutti a cui la comunità di Pollica/Acciaroli aveva dato la guida politica della cittadina cilentana, c’erano anche dei carabinieri di alto grado dei quali si fece persino il nome. Ma chi sapeva ha dovuto aspettare 14 anni per arrivare a veder suffragata quella stessa ipotesi con gli arresti di giovedì 7 novembre, quando il raggruppamento operativo speciale dei carabinieri di Roma ha dato esecuzione, nella mattinata, ad un’ordinanza applicativa della custodia cautelare in carcere nei confronti di quattro persone alle quali è contestato il concorso nell’omicidio del sindaco di Pollica, Angelo Vassallo, avvenuto il 5 settembre 2010. In carcere sono finiti: Ridosso Romolo, Cipriano Giuseppe, Cagnazzo Fabio, Cioffi Lazzaro.
Angelo Vassallo, in quei giorni era pronto a denunciare tutto quello che aveva potuto sapere e ricostruire attorno allo spaccio di droga che c’era nella sua cittadina. Aveva capito chi c’era dietro quella droga ed era pronto a fare i nomi. Sapeva che stava rischiando tantissimo: «Ho scoperto cose che non avrei mai voluto scoprire: stanno portando la camorra in Cilento» rivelò a qualche amico. E ammise pure di temere per la propria vita. Un teste molto attendibile ha messo a verbale che il sindaco gli disse: «Tengo paura che mi fanno fuori. Torno a casa sempre prima di mezzanotte, non faccio mai la stessa strada e non mi fermo con chiunque incontro, anche se è un amico». Nonostante tutto la sera del 5 settembre si fermò e fu l’ultima cosa che fece. Non fu un caso dacché la mattina successiva sarebbe dovuto andare in Procura per la denuncia. Angelo Vassallo aveva compreso, con tanto di prove, che dietro quel traffico di droga c’era la camorra e c’erano dei carabinieri che lì nel Cilento avevano la casa della villeggiatura. Si parlò delle residenze che alcuni uomini dell’Arma frequentavano durante i mesi estivi e non solo.
Tra questi, per la Procura di Salerno che ha indagato a fondo, c’era Fabio Cagnazzo, La sera dell’omicidio l’ufficiale prenotò un tavolo nel ristorante del fratello del sindaco. Il Gip parte da quello per dire che ci fu, da parte del Cagnazzo, «depistaggio sistematico e omertà». Cagnazzo, la sera del delitto, aveva prenotato una cena con diversi amici presso il ristorante «Da Claudio» ad Acciaroli. E Claudio è Claudio Vassallo, fratello di Angelo, titolare di un locale dove lavorava anche la moglie del sindaco: un posto perfetto, secondo il gip, per crearsi un alibi. Ciò nonostante, ad un certo punto, Cagnazzo quella sera si separò dal resto della comitiva e si allontanò dal centro di Acciaroli come si è constatato con l’esame delle celle telefoniche in circostanza analizzata dal gip Annamaria Ferraiolo come recita l’ordinanza cautelare notificata ai quattro indagati.
Il buco, cioè l’assenza di Cagnazzo dal luogo dell’alibi perfetto fu di ben 20 minuti. «I contatti telefonici – scrive il giudice – segnalano che nell’arco temporale fra le ore 21.14.57 e le ore 21.37.57. Immediatamente successivo all’esecuzione dell’omicidio del sindaco Vassallo, il colonnello Cagnazzo non si trovava al centro di Acciaroli con Luigi Molaro (un carabiniere a lui molto legato), Federico Palladino (imprenditore suo amico) ed altri commensali già avviatisi al ristorante, non essendo altrimenti spiegabile la necessità di utilizzare il telefono se fossero stati insieme, ma si allontanò per oltre 20 minuti. Un allontanamento che avvenne in “perfetta” concomitanza dell’esecuzione dell’omicidio. Questo era il piano concertato con coloro che quell’omicidio lo dovevano materialmente compiere dei quali Cagnazzo ben conosceva l’identità ed aveva interesse a coprirli.
Interrogato, Fabio Cagnazzo non è stato in grado di ricostruire che cosa fece in quel lasso di tempo: «Non posso escludere di essermi recato a salutare mia figlia o altri conoscenti del luogo». Tranne poi sapere che l’ex moglie – come lei stessa ha spiegato – aveva lasciato Acciaroli quella mattina o addirittura il giorno prima assieme alla sua bambina . Non solo. Ad aiutare gli inquirenti è stata una sigaretta Lucky Strike ritrovata sul luogo dell’assassinio ad appena quattro metri dall’auto in cui c’era il cadavere del sindaco. Lì dove venne trovata ed analizzata individuando su di essa il Dna di Cagnazzo. Furono i carabinieri del Ris di Roma ad aver ottenuto da quella sigaretta un profilo riconducibile a un soggetto di genere maschile che si prestava a comparazioni. «Circostanza in sé neutra e suscettibile di valide spiegazioni alternative – scrive il gip – ma che, coniugata alla luce del dipanarsi degli eventi, assume una valenza indiziaria certamente significativa, soprattutto tenuto conto della condotta da questi assunta sulla scena del crimine ove, secondo quanto ricostruito dai testimoni Angelo La Greca e Vincenzo Vassallo, si poneva alla ricerca di mozziconi di sigaretta intorno all’autovettura e sottraeva a Vassallo in due occasioni una sigaretta della medesima marca mentre quest’ultimo si apprestava a fumarla». Tutto organizzato per depistare le indagini. Cagnazzo, raccontano i testimoni, oltre ai mozziconi di sigaretta, che prelevò per metterli in una bustina e portarli chissà dove, spostò anche un bossolo «con un rametto» per poi rimetterlo dov’era.
Angelo La Greca, all’epoca assessore comunale molto vicino a Vassallo, racconta lucidamente: «Ricordo immediatamente una cosa negativa che mi colpì, ossia il fatto che al di là del nastro che delimitava la zona interdetta ai non addetti ai lavori in realtà si trovavano diverse persone del paese incuriosite dall’accaduto. Fu infatti quello che io ritengo il responsabile dei rilievi scientifici che energicamente sgombrò l’area da coloro che non erano autorizzati. Il colonnello Cagnazzo entrava e usciva dalla zona interdetta. Quando usciva si intratteneva a parlare con persone di sua conoscenza tra cui sempre i fratelli Palladino… Quest’andirivieni del colonnello terminò proprio con l’arrivo dei carabinieri addetti ai rilievi scientifici». Oggi Antonio Vassallo, figlio di Angelo, non ha dubbi: «Fabio Cagnazzo non mi è mai piaciuto: non sembra un rappresentante delle istituzioni»
Napoletano, classe 1970, Cagnazzo è cresciuto ad Aversa e fa parte di una dinastia di militari dell’Arma. Il padre arrestò Enzo Tortora. Lui oggi, attraverso il suo avvocato, dice: «Accuse del tutto infondate e frutto di mere illazioni». L’ultimo suo incarico è stato nel nucleo forestale di Roma prima di essere arrestato giovedì insieme con l’ex carabiniere Lazzaro Cioffi. Cagnazzo già in passato è stato coinvolto in inchieste su droga e camorra con l’imprenditore Giuseppe Cipriano, titolare di due sale cinematografiche in Cilento. Un tipo risoluto che sapeva dare di sé l’immagine forte dell’uomo delle istituzioni con modi bruschi e molta arroganza dice chi lo ha conosciuto da vicino. Nel 2010, l’anno in cui Vassallo fu ucciso, Fabio Cagnazzo. che frequentava spesso il Cilento. fu trasferito da Castello di Cisterna a Foggia e quel trasferimento non fu certo una premiazione. Ma la buona immagine ancora resisteva se si pensa che ben 26 magistrati della Dda di Napoli decisero di scrivere al procuratore capo di allora, Giovandomenico Lepore sentendo la necessità di esprimere a Cagnazzo la solidarietà e la stima: «Cagnazzo – scrissero nero su bianco – si è distinto per le non comuni capacità di investigazione, di lealtà alle istituzioni, di coordinamento e di motivazione del personale dell’Arma alle sue dirette dipendenze, che hanno consentito a questa Dda di ottenere eccezionali risultati nell’attività di contrasto alla criminalità organizzata e di prevenzione e repressione dei reati sul territorio ricadente nella sua giurisdizione. Per tutti basti ricordare la cattura di 180 latitanti e la disarticolazione delle strutture criminali agli stessi riferibile».
Eppure questa stessa persona è ora pienamente coinvolta nella vicenda dell’assassinio di Vassallo, con tanto di prove e, secondo gli inquirenti, molti interessi in campo, nel giro degli stupefacenti. Orditi persino assieme a Romolo Ridosso, ritenuto un piccolo boss di Scafati, con l’ambizioni di entrare nel mondo del narcotraffico. Gli arrestati sono tutti accusati di aver partecipato, in concorso tra loro, all’ideazione e alla realizzazione dell’omicidio di Angelo Vassallo. Ammazzato, e su questo ormai non ci sono più dubbi, perché aveva scoperto che certi locali di Acciaroli erano diventati piazze di spaccio, e anche che le vie del mare erano diventate anche le vie della droga: quello stesso mare del Cilento che per Angelo Vassallo, nato pescatore e rimasto pescatore anche dopo l’elezione a sindaco, rappresentava la vita. Qualcuno molto vicino ad Angelo Vassallo lo tradì 14 anni fa portando le confidenze e le preoccupazioni del sindaco pescatore ai diretti interessati compreso Cagnazzo che così capì la intenzione di Angelo Vassallo di denunciare tutto in procura. E così Cagnazzo, che poteva accedere a molti luoghi delle istituzioni, si attivò con gli altri per farlo fuori.