“Gomorra” ha reso celebre Annalisa Magliocca detta Scianel, un nome inventato che porta con sé, quasi ne fosse una sintesi, tutti i nomi delle donne di camorra. “Camorriste” è un format che propone documentari dedicati alle donne della camorra. Tutte reali. Tutto vero perché dalla fiction alla realtà il passo è breve. Anna Carrino che è stata per 30 anni la compagna del boss dei casalesi, Francesco Bidognetti e che, mentre lui era in carcere, gestiva gli affari del clan ed era l’unica capace di decifrare i messaggi in codice del compagno, “giocò” tutti. Da donna di camorra è arrivata al pentimento e alla collaborazione con i magistrati. Antonella Madonna, ad Ercolano, acquistò la fiducia del marito che era in carcere e la guida del clan fino a quando, tradito il marito a letto, lo tradì anche con un pentimento davanti ai magistrati. Il binomio “donne e camorra” riserva queste cose e molte altre. Assieme ai pentimenti di Anna Carrino e di Antonella Madonna ci sono anche le storie e i nomi “leggendari” di Rosetta Cutolo e Pupetta Maresca, di Immacolata Capone e di Anna Mazza, di Teresa Nappa e di Erminia Giuliano detta Celeste. Un mondo pieno di “chiaroscuri” con nomi noti e meno noti. Storie delle donne che, oggi più di ieri gestiscono gli affari dei loro mariti, fratelli, padri, figli. O da loro hanno preso le distanze pubbliche e giudiziarie.


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Antonella Madonna, è stata la prima donna di camorra a pentirsi. Aveva ventisei anni e due figlie quando, in nome del marito, “comandava” ad Ercolano. Antonella, si racconta, “era molto di più di una moglie: era la sua confidente, custodiva i suoi segreti. Conosceva nel dettaglio i suoi traffici, condivideva con lui le scelte tattiche, aveva chiaro il bilancio del gruppo. Fu scontato che quando suo marito Natale Dantese fu arrestato, nel marzo del 2010, lo scettro passasse a lei. Due giorni dopo l’arresto del marito si presentò in una concessionaria di via Benedetto Cozzolino e ritirò la macchina che Dantese aveva ordinato prima di finire in carcere. “Adesso ci sono io”, disse. Con quel gesto iniziò la scalata ai massimi vertici dell’organizzazione criminale del “Canalone”. In carcere, quando si recava dal marito, prendeva ogni indicazione per poter portare avanti il suo compito così da non perdere un colpo. Incaricò, sempre in voce del marito, tutte le spedizioni punitive, le rappresaglie che si decidevano contro chi non si piegava alle logiche della camorra. Si disse che “la sua fu una gestione perfetta, tale da evitare che l’impero del male dal marito giungesse al declino”. Un contesto ideale per proseguire il potere fino a quando non iniziò a desiderare un nuovo un uomo accanto a sé. Nel 2011, Dantese fu dichiarato “capo e promotore” del sodalizio, un boss giovane ma carismatico, capace di far trapelare dal carcere quelle notizie che i suoi uomini aspettavano: il ministero ne dispose il trasferimento al 41bis perché le sbarre per lui non erano un ostacolo a delinquere. Fu quell’isolamento a “spingere” Antonella nelle mani di un altro uomo. Potere e libertà surono tali da “favorire” il tradimento. Di sera inventava scuse per fuggire da Ercolano a Terzigno dove raggiungeva un hotel a ore diventato il suo nido d’amore che credeva al sicuro per sé e per il suo amante. I fratelli di Dantese la tennero d’occhio e così, sulla scia dei suoi spostamenti, documentarono il suo tradimento. La coppia su sorpresa a letto: ci fu un pestaggio. Il “marinaio” – si raccontò – solo in quel momento capì che quella storia gli avrebbe potuto causare guai ben più grossi di quelli che vengono da un marito geloso. Fu minacciato: “Non la vedrai più, sappiamo dove vivi e dove va a scuola tuo figlio”. Antonella fu riportata ad Ercolano: suo marito, in prigione, il mese successivo ricevette la visita di sua madre, la quale lo informò che la moglie lo aveva “disonorato”. Ma Dantese conosceva bene la madre delle sue figlie, conscio che fosse un pericolo per lui e per il clan, ordinò ai suoi fratelli di non infierire, di lasciarla perdere, di non provocarla. La macchina della vendetta però si era già messa in moto. Antonella fu umiliata, terrorizzata, privata delle sue figlie che furono portate contro la sua volontà a casa della suocera. Per questo, probabilmente, decise per l’unica strada che le restava e fece ciò che il marito temeva: si pentì. Da qual pentimento è stata testimone in tre processi ed è stata minacciata di morte in due occasioni. Ma dai clan di Ercolano sono arrivati altri pentiti: tutti contro di lei per un un tentativo di vendetta acclarato, un vero e proprio accanimento utile e contrastare ciò che lei diceva ai magistrati. In una delle udienze in cui è comparsa collegata in videoconferenza da una località protetta dove vive con le figlie, è emerso che alcuni degli Ascione avevano scoperto il luogo in cui si nascondeva ed erano pronti a fargliela pagare. La sua storia è lei stessa a raccontarla in una delle puntate di “Camorriste”.

https://www.youtube.com/watch?v=xHaEBwkFyLo

Immacolata Capone, invece, è stata la più fedele « dama di compagnia» di Anna Mazza, per poi emanciparsi e guadagnare lei stessa un ruolo di gestione all’interno del clan Moccia: in particolare curava gli affari criminali nel settore dell’edilizia. È stata uccisa a colpi di pistola come un boss, a 37 anni, lungo la centralissima Via Roma a Sant’Antimo.

Lo sguardo spavaldo, Anna Mazza (nella foto in basso), invece, volendo restare attorno e dentro lo stesso clan, si rivolge al fotografo con aria di sfida. Vedova di Gennaro Moccia, capo dell’omonimo clan, originario di Afragola, Anna Mazza dopo la sua morte ne ereditò il ruolo di comando gestendo per anni gli affari criminali della cosca. È stata la prima donna arrestata per associazione mafiosa. Eccola, Anna Mazza, fotografata nel momento dell’arresto avvenuto il 16 novembre del 1978.

Teresa De Luca Bossa, intanto, è stata la prima donna condannata al carcere duro, il 41 bis, perché ritenuta a capo dell’omonimo clan di Ponticelli. Madre di Antonio De Luca Bossa,comincia la sua carriera criminale all’inizio degli anni Novanta quando gestisce la florida piazza di spaccio della zona di Bartolo Longo, periferia est di Napoli. Quando i rivali tentano di sottrarle il potere la reazione del figlio Antonio è inesorabile e violenta: il 25 aprile del 1998 a Ponticelli scoppia un’autobomba e salta in aria il pregiudicato Luigi Amitrano, nipote del capoclan rivale, Costantino Sarno.


Dalla provincia di Napoli a quella di Caserta il passo è breve quando si parla di camorra e di donne che nella camorra ci sono nate, si sono sposate o hanno ereditato l’organizzazione dei clan. Giuseppina Nappa, è la moglie di Francesco Schiavone, detto Sandokan, potente boss del clan dei casalesi, si copre il viso al momento dell’arresto per ricettazione, nel 2008 e ha anche il tempo di dire davanti alle telecamere in modo provocatorio… “pensate di aver salvato l’Italia?”. Ha sempre difeso il marito, ergastolano al 41 bis, affermando che le loro ricchezze erano frutto del suo lavoro di imprenditore. È stata condannata a 4 anni per estorsione.

In quella stessa provincia, invece, la storia di Anna Carrino disegna, come già scritto, una traiettoria inversa. Moglie di Francesco Bidognetti, nel 2008 decide di collaborare con la giustizia e provoca uno sconquasso. Lo fa soprattutto per il bene dei suoi figli. Questo documento televisivo ne racconta la trama. Le sue ma anche le altre coniugate al “femminile camorristico”.

Dal casertano al cuore di Napoli. Erminia Giuliano detta Celeste per il colore degli occhi fu reggente del clan di Forcella dopo l’arresto dei 5 fratelli, tra cui Luigi «Lovigino», il «padrino» del rione. Raccontò il Corriere della Sera che quella notte di dicembre del 2000, quando i carabinieri l’hanno tirata fuori dalla botola dove si nascondeva, Celeste pregò i militari di poter portare con sè la sua estetista personale. «Fatemi aggiustare i capelli, fatemi almeno pettinare». Non si è mai pentita.

Assunta Maresca, detta “Pupetta”, nata a Castellammare di Stabia il 19 gennaio del 1935 era moglie del boss di camorra Pasquale Simonetti, detto Pascalone ‘e Nola e figlia del contrabbandiere Alberto. Una delle storie più romanzate e raccontate dalla televisione e dalla stampa. A vent’anni, incinta, Pupetta vendicò l’omicidio del marito, avvenuto nell’ambito di un regolamento di conti per il controllo illegale del mercato ortofrutticolo di Corso Novara, a Napoli. Pupetta sconterà in carcere dieci anni e riceverà la grazia. A questa storia il regista Francesco Rosi si sarebbe poi ispirato per il film «La sfida» . Ma non solo. Manuela Arcuri, attrice di fama, interpreterà Pupetta Maresca e sarà la prima volta di una interpretazione con una donna realmente esistita. Il resto sarà fatto dai libri scritti su di lei e dai numerosi articoli.

Ad Ottaviano, invece, vive dopo aver scontato la sua pena, Rosetta Cutolo. Classe ‘37, Rosetta Cutolo è stata sempre considerata la luogotenente dei traffici criminali del fratello, Raffaele in carcere da quasi 40 anni. Tale ruolo apicale le venne confermato anche nella finzione cinematografica col film cult di Tornatore «Il camorrista» (1986) in cui sarà l’attrice Laura Del Sol a prestare il volto a Rosetta, spietato «braccio secolare» della Nco (Nuova camorra organizzata) che aveva base a Ottaviano.

In questa foto, un’immagine di repertorio mentre una giovane Rosetta Cutolo veniva interrogata dalle Forze di Polizia. A seguire, invece, una interessantissima inchiesta di Sandro Ruotolo che è andato sulle “tracce” di Rosetta Cutolo per capire qualcosa ancora delle trame, compreso la vicenda Ciro Cirillo, dentro la quali la camorra di Raffaele e di Rosetta Cutolo agì quando a casa di Rosetta andavano tutti i politici.

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