Ha per titolo “Paolo Borsellino, per amore della verità” il libro scritto ed uscito da poco di Piero Melati con le parole di Lucia, Manfredi e Fiammetta Borsellino per delineare un ritratto inedito, a 30 anni esatti da quel 19 luglio del 1992 quando il magistrato che con Giovani Falcone mise in ginocchio il potere mafioso siciliano. Immagini inedite, a partire dalla copertina ed un racconto dal di dentro di una famiglia che fu messa in ginocchio 30 anni fa ma che negli anni non ha mai perso la forza e le ragioni per lottare in nome della verità che Paolo Borsellino rappresentò in tutta la sua vita e fino alla sua tragica morte.


La narrazione, vera e reale, vuole che questi trent’anni trascorsi da quei tragici eventi siano stati spesi tutti in cerca della verità. Di quella stessa verità che oggi non è ancora venuta a galla per intero ma della quale, a brandelli appaiono pezzi di essa, dei motivi e dei mandanti che fecero strage dapprima di Giovanni Falcone con sua moglie Francesca Morvillo con i ragazzi della scorsa e poi di Paolo Borsellino e dei ragazzi della sua scorta. Trent’anni nel nome di un’idea di giustizia da rivendicare con fermezza con un impegno che non di rado fiacca, mette sfiducia, scoraggia. Eppure “per amore della verità” si continua tanto che con queste parole potremmo riassumere per intero la battaglia che ha portato avanti la moglie stessa di Paolo Borsellino, Agnese, e, oggi, i figli Lucia, Manfredi e Fiammetta affinché si facesse luce non solo sulla morte tragica del loro padre e marito ma anche su una delle trame più oscure della storia nazionale.

Così accade che, dopo la strage di via D’Amelio, al dolore per la perdita del magistrato e della sua scorta si aggiungesse anche l’ignobile capitolo del depistaggio che fu fatto nel corso delle indagini sugli esecutori materiali del crimine seguito dal conseguente e tortuoso iter processuale che ne seguì per troppi anni lungo i quali lacune, omissioni, bugie, negligenze, volontà nefaste a occultare tutto si sono intrecciati. Ciò nonostante i tre figli di Paolo Borsellino non si sono tirati indietro. Anzi. Hanno affrontato un lungo e difficile percorso con tutta la dignità e la determinazione che occorreva. Anche quando hanno deciso di rimanere lontani dai riflettori volutamente distanti dalle tutte le celebrazioni, i convegni, le rivendicazioni di parte che si sono succeduti nel corso di ben tre decenni.

Oggi, a 30 anni da quegli eventi arriva il libro “Paolo Borsellino. Per amore della verità” del giornalista Piero Melati (Sperling & Kupfer, pp.208, euro 17,90) con dentro la storia di una famiglia e del suo impegno per l’affermazione del diritto alla verità tanto è corale il coinvolgimento dei tre figli di Paolo Borsellino del quale, nel libro, si delinea un ritratto corale, diretto e persino intimo del giudice sicialiano. Piero Melati e Fiammetta Borsellino ne hanno già parlato assieme al direttore editoriale di Sperling & Kupfer, Rino Parlapiano, lo scorso lunedì 4 luglio alle 18,30, nell’atrio monumentale della Facoltà di Giurisprudenza (via Maqueda 172). Il libro così si è mostrato in tutto il suo valore storico e documentale. Ricucendo ricordi e punti di vista diversi, raccogliendo primissime e dirette testimonianze. E soprattutto i contributi inediti di Lucia, Manfredi e Fiammetta. Un libro dove la loro impronta e partecipazione si sente da subito lungo una prospettiva nuova. Resterà una delle pagine più vergognose e tragiche della storia giudiziaria italiana. Il libro raccoglie (anche letteralmente) un’eredità preziosa e l’invito a partecipare attivamente alla ricerca della verità e all’ affermazione della giustizia dacché la storia di Paolo Borsellino e della sua famiglia è anche la nostra storia. Eppure. Non era il numero due. Non era l’alter ego di Falcone. Non è stata una strage fotocopia. Hanno dovuto accelerare il massacro, e poi depistare le indagini, perché indagava sul riciclaggio del denaro del traffico di droga, in una Procura che aveva definito “un nido di vipere”. Da allora nessuno ha più indagato su dove siano finiti i narco-miliardi e sulle metamorfosi della mafia siciliana. Da allora solo carriere, retorica e “professionisti dell’antimafia”. Non solo: nei trent’anni successivi alla strage, alla sua famiglia è accaduto l’incredibile. Finché i figli non hanno deciso di parlare e rovesciare le consuete “narrazioni”. Ma nessuno ha mai chiesto loro “scusa” per tre decenni di depistaggi, ingiustizie, bugie. Solo oggi questa storia può essere compresa nelle sue più sconvolgenti rivelazioni. Senza di essa non si può capire la Sicilia. Un viaggio al termine della notte della civetta. “Uno Stato che non riesce a fare luce su questo delitto non ha possibilità di futuro. Dopo trent’anni di depistaggi e di tradimenti noi non ci rassegniamo e continueremo a batterci perché sia fatta verità sull’uccisione di nostro padre”. Lo ha detto nel corso della presentazione fatta a Palermo Fiammetta Borsellino, che del giudice ucciso è la figlia minore nel corso della presentazione del libro. “E’ per questo motivo – ha ricordato Fiammetta – che la mia famiglia ha deciso di disertare le cerimonie ufficiali sulle stragi del ’92, non a caso mia madre non volle funerali di Stato, proprio perché aveva capito…”.  Fiammetta Borsellino ha poi raccontato quanto accaduto nei mesi successivi all’attentato “quando la mia famiglia fu oggetto di un vero e proprio ‘assalto alla diligenza’ da parte di uomini dello Stato. Quasi la necessità di svolgere una sorta di vigilanza nei nostro confronti, di tenerci buoni, di controllarci”. 

La figlia di Paolo Borsellino ha poi ricostruito le vicende legate al falso pentito Vincenzo Scarantino, le cui dichiarazioni hanno dato vita a quello che i giudici del processo quater sulla strage di via D’Amelio hanno definito “Il più colossale depistaggio della storia d’Italia”. Dal ruolo svolto dal gruppo di poliziotti guidato dal questore Arnaldo La Barbera, legato ai servizi segreti, che avrebbero “imbeccato” Scarantino (tre di loro sono a processo per calunnia aggravata e la sentenza è prevista per questo 12 luglio ndr), alle inchieste della Procura di Caltanissetta guidata da Giovanni Tinebra “vicino – ha sottolineato la Borsellino – ad ambienti della massoneria”.  Riferendosi poi alla presa di distanze sull’attendibilità di Scarantino da parte del Pm Ilda Boccassini, condensata in una lettera inviata ai colleghi della Procura, Fiammetta Borsellino ha osservato: “Una vicenda così grave non può essere liquidata con una lettera. Mio padre mi ha insegnato che in questi casi si fanno denunce pubbliche. A me è sembrato più che altro un volersi mettere il ferro dietro la porta da parte della Boccassini. Peraltro era stata proprio lei ad autorizzare i dieci colloqui investigativi nel carcere di Pianosa nel corso dei quali Scarantino sarebbe stato torturato per costringerlo a rendere quelle false dichiarazioni”. 

“Questo libro è il risultato di un dialogo nato per caso davanti a un caffè – ha raccontato Fiammetta Borsellino – che poi è continuato in maniera naturale”. A scrivere, dopo lunghe chiacchierate con Lucia e Fiammetta, è stato il giornalista Piero Melati, che negli anni del maxiprocesso seguì le cronache per il giornale palermitano L’Ora. “L’idea di questo libro viene proprio dai figli di Paolo Borsellino – ha spiegato infatti Paolo Melati ai microfoni di Gds.it – le cose che dicono oggi illuminano un po’ di più i misteri della strage di via D’Amelio”. Nell’atrio di Giurisprudenza – la stessa frequentata dal giudice palermitano quand’era ancora un ragazzo – tra il “pieno” di gente, la parola verità è ritornata più volte a simboleggiare l’impegno intero di una vita, di una morte e di una testimonianza che dovrebbe essere di ogni italiano.

Fiammetta Borsellino

Personaggio: Borsellino Paolo

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