Camorra che viene, camorra che va

Rimanemmo alla camorra che ci aveva raccontato, all’epoca, Raffaele Cutolo quando stavamo preparando il libro scritto sulla sua conversione religiosa. Il boss della nuova camorra organizzata si era ispirato ad un tale Nappi, figura romantica di camorrista. Perlomeno era quello che in lui vedeva Raffaele Cutolo. Per Cutolo Nappi era l’uomo d’onore, l’uomo che faceva rispettare una certa idea di legge: la legge della strada e l’onorabilità. Raffaele Cutolo mi raccontò che la nuova camorra organizzata doveva essere così. Doveva avere un suo codice etico. Suona paradossale parlare di un codice etico per la camorra. Ma il paradosso svanisce in tempi più recenti o non vi è mai stato per chi conosce, da vicino, il vecchio codice d’onore della camorra.
Tuttavia la nuova camorra di Cutolo è morta diversi anni fà e, in, ogni caso, non sarebbe sopravvissuta oggi. Anche la «collusione» con l’alta politica che quella camorra ebbe con il caso «Ciro Cirillo» e la sua liberazione dalla prigione delle Br appartiene al capitolo delle vecchie consuetudini. La camorra non ha bisogno più di infiltrarsi perchè è già dentro al sistema. È così dentro al sistema che la sua logica si è diffusa, ha creato un comportamento, è essa stessa «il sistema». Non che tutto sia camorra ma il contesto da cui nasce è pur sempre il «suo» contesto sociale.
La camorra, come ha detto Rosy Bindi suscitando le ilarità e i risentimenti inutili di molti osservatori, è nel dna della terra in cui è nata. Come tutto quello che è prodotto dai sistemi sociali in cui ogni fenomeno nasce e si consuma. O si sviluppa, diventa altro, ramificandosi, cercando e trovando radici, solidi consensi. Nasce così la malapolitica, il malaffare, la corruzione e, naturalmente, la camorra.
Ogni tanto, però, si verifica qualche cortocircuito che riesce a mettere in crisi il sistema. Io chiamo cortocircuito ciò che è avvenuto nella terra dei fuochi. Non importa sapere quanti ettari di terreno siano stati contaminati o capire per quanto tempo la camorra o la commistione tra camorra, massoneria e cattiva impresa abbia perpetrato in Campania il più eclatante disastro ambientale . Il dato evidente è che la mano che ha inquinato quei territori e fatto morire tante vittime innocenti per malattie incurabili è una mano camorristica. La terra dei fuochi può mettere in crisi il consenso tacito di cui la camorra ha potuto beneficare per troppi anni. Un consenso che è diventato anche omertà, rassegnazione, indifferenza. Oggi molti campani non sono più disposti a tollerare il camorrista che hanno accanto, nella strada dove vivono o anche nello stesso paese. Mi pare un segnale incoraggiante. Si sono indignati, con giusta ragione, per le morti innocenti di tanti loro conterranei: parenti, congiunti, spesso ragazzi giovanissimi. Anche le faide, nuove e vecchie, di Scampia o di qualsiasi posto della Campania, appaiono ridiciole e prive di senso: il retaggio di un’ignoranza. Il camorrista è sempre ignorante anche quando usa metodi raffinati per arricchirsi o per avere la meglio sulla legalità e sullo Stato. Stiamo togliendo terreno fertile che è stato anche un terreno culturale e sociale allo sviluppo della camorra di oggi. Ed è questo quello che dobbiamo fare. Dobbiamo farlo con ogni mezzo e farlo presto, ogni giorno. Con campagne, impegni, libri e questa rivista che non avrà mai la presunzione di bastare o di essere la sintesi della lotta alle illegalità. Ma vorrà essere, come già lo è, uno strumento in più accanto agli altri. Per parlare e dire di tutto quello che di buono si muove e si sviluppa nelle terre della camorra che vengono ridate alla legalità.

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